As always, we are on the brink of war—certainly of the many wars that daily stain our planet with blood. A reflection on culture and violence, waiting for beauty to save the world.

I already see the wave rising: its color is disgusting. It appears blue, but now that I can distinguish it clearly, it is decidedly brown and even foul-smelling. Our twenty-five readers, heirs of Manzoni, seem truly scandalized by my quotation. To treat Fëdor Dostoevskij this way, who was, in turn, inspired by me for one of his most important works, The Idiot.

Rivers of ink have been spilled on the themes of beauty and purity of soul, often drifting—as usual and off-topic—toward a more comfortable discussion of aesthetics and the sense of art, tailored for colleagues who craft and sell content. Equally vast amounts of ink are spent discussing war, but never on the real reasons behind it or on the role violence plays in our species. Instead, the focus remains on how wars affect investments, how the economy suffers, and how we might possibly save ourselves from such disasters—without ever addressing the hypocrisy of institutional rhetoric, always ready to praise the beauty of our Nation, which claims to abhor war yet has always nurtured its GDP.
This alone should be enough for the highest officials to experience a minimal surge of coherence and resign. One cannot serve both God and Mammon. And please, let’s not raise the issue of defense.
Yet, all this no longer matters to an old man like me. I continue to vote, always, only out of respect for at least one of those people (and I firmly believe that at least one, an idiot like me, truly believed in something beyond their own interest, selfishness, and fear) not because they spilled blood, but because they accepted death rather than submitting to the prevailing mindset of their time. As a beneficiary, I express gratitude and honor.
Instead, what does interest me—one of the few in the world—is understanding the violent nature of our species and, considering the context of museological and cultural research, recognizing what we stubbornly continue to get wrong.
If, despite our schools, our pompous universities, our cultural institutions, and our astonishing museums, we still regulate relationships between human beings through institutionalized violence (see armies and upstream economic-production systems), then something is clearly failing.
Now, dear twenty-sixth reader who happened to stumble upon this page while searching for football results or lottery numbers, don’t just shrug. Every time I raise Socratic concerns about the threat of war, the response is always a laconic: “Let’s hope not!” . Never—truly never—do I hear even the slightest attempt at reflection. Not just regarding the countless victims who have always suffered (try finding a single year without bloodshed, apart from local crime), but on what exactly our culture is getting wrong. It is sadly true that proximity is proportional to emotional intensity—we rightly feel alarmed and outraged by femicide, yet we pay far less attention to the hundreds of women and children who die every day due to violence worldwide. And yet, not even the most prestigious television salons—now mere party affiliates, with professional orders turning a blind eye—ever raise the need for a profound inquiry into this fundamental characteristic of our species: violence.
There are two possible paths. We accept violence without hypocrisy—so bring out the clubs, let the strongest prevail, and suppress the weak without sugarcoating reality. Clubs, yes, but we could also say toga or stock market. Everything in our species revolves around another Latin maxim: “Mors tua, vita mea.” We have institutionalized violence to make it drinkable, edible, acceptable. We live by successes, waiting for them to arrive—whether big or small—which are nothing more than affirmations of conquered superiority. From academic titles, with grades and honors, to elections, following disgusting electoral manipulations at the expense of voters. From the conquest of spouses, lovers, and children to the control of information, television shows—think of reality shows, where contestants are locked in a house, battling to eliminate others—everything is a manifestation of aggression, a continuous attempt to overpower those who stand in our way. In this sense, war itself would at least have the advantage of not being hypocritical: its fruits do not fall far from their tree. What role would museums and culture play if we truly accepted violence as an intrinsic component of our species?
Or, as most people pretend to do, we genuinely desire to banish all forms of violence from human behavior. What role would culture and museums play in that case?
Either way: where are we going wrong?
Dear Fëdor, what you call beauty, I consider, above all, a daughter of intelligence. A species cannot be Sapiens if it is not truly Intelligens. What does this characteristic depend on, and who influences it?
Si vis pacem, para mentem
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Versione italiana
Si vis pacem
Come sempre siamo ad un passo dalla guerra e certamente dalle tante guerre, che quotidianamente insanguinano il nostro pianeta. Una riflessione su cultura e violenza, aspettando che la bellezza salvi il mondo.

Vedo già l’onda montare: è di un colore disgustoso. Pare blu, ma ora che la distinguo nettamente è decisamente marrone e pure maleodorante. I nostri venticinque lettori di manzoniana eredità, sembrano veramente scandalizzati della mia citazione. Trattare così Fëdor Dostoevskij, che pure si ispirò a me per uno dei suoi più importanti lavori: “L’idiota”.

Si sono versati i soliti fiumi di inchiostro sui temi della bellezza, della purezza d’animo, virando, come sempre e fuori tema, per la più comoda ed opportuna estetica ed il senso dell’arte ad uso e consumo dei colleghi propinatori di contenuti. Si versano altrettanti fiumi di inchiostro sulle guerre, ma non ci si chiede mai dei veri motivi e del ruolo della violenza nella nostra specie. Si pensa solo su come le guerre incidano sui nostri investimenti, sulle nostre “zone di comfort”, su quanto patirà l’economia, su come potremo mai salvarci da una simile sciagura. Senza contare l’ipocrisia della retorica istituzionale, sempre pronta a pontificare sulla bellezza della nostra Nazione, che aborrisce la guerra, ma che, da sempre, e sovente proprio con imprese a controllo pubblico, nutre il prodotto interno lordo di tutti, nell’accezione “sporco di sangue”. Basterebbe solo questo perché le più Alte Cariche sentissero di dimettersi. Non si può servire Dio e Mammona. Non si sollevi la questione falsa della difesa. Nessun esercito ha mai vinto una causa: la pace sì!
Tutto ciò, però, ad un vecchio come me non importa più. Vado a votare, sempre, solo per il rispetto che sento di dovere ad anche una sola di quelle persone che si sono sacrificate durante i fatti bellici del ‘900 (e ritengo che almeno una, idiota come me, ci credesse al di là del proprio interesse, del proprio egoismo e della propria paura), non perché abbia sparso sangue, ma perché abbia accettato la morte, per non piegarsi al pensiero unico del tempo. Io, beneficiario, rendo grazie ed onore.
Mi interessa, invece, tra i pochi al mondo, capire la componente violenta della nostra specie e, visto che in questa sede si parla di ricerca museale e culturale, comprendere cosa stiamo ostinatamente sbagliando. Se, malgrado le nostre scuole, le nostre pomposissime università, i nostri istituti culturali ed i nostri sorprendenti musei, regoliamo ancora i rapporti tra esseri umani con la violenza istituzionalizzata (leggasi eserciti e sistemi economico – produttivi a monte), qualcosa non sta funzionando. Ora Lei, caro ventiseiesimo lettore aggiunto e giunto per sbaglio su questa pagina, mentre cercava i risultati del calcio o del Superenalotto, non faccia spallucce. Tutti coloro che incontro appena monto l’esternazione socratica sui timori della guerra, mi rispondono con un laconico: “Speriamo di no!”. Mai, e dico mai, un abbozzo di riflessione, non solo sui poveretti che da sempre ne sono vittime (trovatemi un anno senza spargimenti di sangue, criminalità locale a parte), ma su cosa la nostra cultura stia sbagliando. È vera, purtroppo, la proporzionalità che rende vivo un sentimento solo se vicino alla sua sorgente. Giustamente ci allarmiamo e ci indigniamo per i femminicidi italiani, ma meno per le tante persone (donne e bambini inclusi), che quotidianamente muoiono di violenza nel mondo. In ogni caso non si sente mai, neppure nei più blasonati salotti televisivi (sempre più succursali di partito con buona pace degli ordini professionali), risuonare l’esigenza di una profonda ricerca di questa nostra invasiva, invadente e perniciosa caratteristica di specie: la violenza.
I casi sono due. Accettiamo la violenza senza troppa ipocrisia ed allora fuori le clave, vinca il più forte e sottometta gli altri senza tanta ipocrisia. Ho detto clave, ma potrei dire toghe, così come borse valori. Tutto nella nostra specie si basa su di una altra massima latina: “mors tua, vita mea”. Abbiamo istituzionalizzato anche questo aspetto, per renderlo “potabile”, “edibile”, accettabile. Viviamo di “successi” ed aspettiamo solo che questi, grandi o piccoli, arrivino. In realtà altro non sono che affermazioni di superiorità conquistata su altri, vinti, uccisi magari non fisicamente, ma sovente uccisi. Dai titoli di studio, con voto e “laude”, alle elezioni dopo massacranti porcherie elettorali a danno degli avversari e degli elettori, dalla conquista del marito/moglie/amante/figli, alle informazioni, agli spettacoli televisivi (pensate alle serie televisive o a quelle “cose”, dove della gente sta rinchiusa tra quattro mura per prevalere su altri che le debbono abbandonare). Quasi tutti i nostri comportamenti sono una esternazione di violenza, una grande girandola di atteggiamenti aggressivi e tesi all’annullamento di chi ci ostacola. La guerra guerreggiata avrebbe addirittura il pregio di non essere ipocrita: i frutti non cadono così lontano dalla loro pianta. Se così fosse, ovvero se fossimo così onesti da accettare la violenza, quale componente intrinseca del comportamento di specie, che ruolo avrebbero i musei e la cultura?
Se, invece, come i più fanno finta di fare, ovvero di desiderare bandita ogni forma di violenza dal comportamento dei “Sapiens Sapiens”, che ruolo avrebbero la cultura, i musei, le scuole, le università, i centri di cultura, di ricerca, le famiglie, gli asili, i nonni, i genitori, che, alla prova dei fatti, non sono stati in grado di sostenere tale velleità? L’otto marzo ricalca perfettamente la nostra condizione. Il rapporto tra maschi e femmine è sempre stato, a livello sociale (sovente anche interpersonale), ostile e violento. Pensate se dovessimo riscrivere tutto ciò che siamo con il rispetto dovuto a femmine e maschi, in intelligente ed equa maniera. Riuscireste ad immaginare la rivoluzione, che ne deriverebbe? Chi ne avrebbe il sacrosanto coraggio, una volta per tutte? Intanto, l’altra metà della nostra specie, la più importante dal punto di vista biologico, langue e soffre (non dimentichiamo, per esempio, che mettere al mondo un figlio significa sempre rischiare la vita per servire la specie: se non è violenza questa! Eppure per tale sacrificio, fondamentale per tutti, la ricompensa sovente è non trovare posto di lavoro, metterlo a repentaglio o perderlo: altre fatiche e problemi esclusi).
In ogni caso: dove stiamo sbagliando?
Caro Fëdor, ciò che tu chiami bellezza io la considero, innanzi tutto, frutto dell’intelligenza. Non può esistere una specie “Sapiens” se non a priori realmente “Intelligens”. Da cosa e da chi dipende tale caratteristica?
Si vis pacem, para mentem.
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Coordinate di questa pagina, fonti, collegamenti ed approfondimenti.
Titolo: “Si vis pacem”
Sezione: “La copertina”
Autore: Gian Stefano Mandrino
Ospite: –
Codice: INMNET2504141300MAN/A1
Ultimo aggiornamento: 14/04/2025
Pubblicazione in rete: 6° stagione, 14/04/2025
Proprietà intellettuale: INFOGESTIONE s.a.s
Fonte contenuti: INFOGESTIONE – Network Museum
Fonte immagini: https://www.la-croix.com/international/guerre-a-gaza-5-chiffres-terrifiants-qui-montrent-l-ampleur-des-destructions-20240403
Fonte video e contenuti multimediali: –
Collegamenti per approfondimenti inerenti al tema: https://it.wikipedia.org/wiki/Si_vis_pacem,_para_bellum