Ho scelto di proporvi, per questa seconda copertina della terza edizione di NM, un fatto accadutomi qualche settimana fa. Si tratta di un evento comune, per molti banale, che al nostro istituto accade sovente, ma estremamente eloquente circa la condizione del sistema museale nazionale.
Ho contattato telefonicamente un museo del nord d’Italia, molto conosciuto ed a cui piace essere considerato forse più del suo reale valore (1). Cercavo di mettermi in contatto con il suo direttore. Chi mi ha risposto mi ha chiesto la solita, peraltro doverosa, “email” di presentazione, dicendomi che avrebbe verificato cosa fare, affinché il direttore avesse potuto “concedermi un poco del suo preziosissimo tempo”: testuali parole.
Premesso che Papa Francesco, molto probabilmente, non l’avrebbe fatta cadere così dall’alto, il risultato è che non ho mai ricevuto alcuna risposta: né positiva né negativa, ma neppure un vago riscontro di cortesia. Era la seconda volta che tale fatto, che per molti connazionali risulterebbe essere normale, si ripeteva nell’arco di un paio di anni.
È opportuno precisare che non tutti i musei rispondono e si comportano nello stesso modo: eccezioni ed eccellenze ve ne sono anche in Italia. All’estero, riferimento abituale per il nostro istituto, è, invece, eccezionale, che qualcuno non risponda, ma anche in questo caso la regola ha le sue eccezioni.
Quali aspetti rivela tale comportamento?
Innanzi tutto, nel citato museo, che si sostiene, anzi arranca, con i soldi della collettività, qualcuno ignora il detto popolare del “chiedere è lecito, rispondere è cortesia”. Pertanto, in quell’ente, difettono di buone maniere.
L’accaduto, però, nasconde un altro grave problema, tipico del settore: il sistema. Quel “sistema” espositivo, non è in grado di ricevere comunicazioni. Potrei essere, per esempio, il portavoce di uno sponsor o desiderare di incrementare la pubblicità di una impresa presso tale museo e non mi viene data risposta: comprendete l’opportunità sfumata.
Torniamo, però, al fatto di non essere attrezzati a ricevere comunicazioni e, pertanto, a rispondere alla sollecitazioni esterne, aspetti di urbanità esclusi. Una entità siffatta non è un sistema ordinato ed organizzato, è una “armata Brancaleone”, è un gruppo di soggetti, che sbarca il lunario a spese della collettività.
Il fenomeno descritto, per dirla in termini un poco più tecnici, non solo non evidenzia una struttura organizzativa, ma non esprime i più elementari fondamenti del management. La responsabilità è sempre e comunque del direttore, che non ho ancora avuto il piacere di conoscere e che evidentemente è troppo impegnato nello spendere il suo preziosissimo tempo a dialogare in chissà quale Olimpo di eletti, mentre gli sfugge clamorosamente il controllo della condizione gestionale della struttura, per condurre la quale è profumatamente pagato. Non stiamo parlando di un grande museo europeo, ma di una realtà decisamente meno autorevole, non per contenuti, ma per condizioni: locali precari, attrezzature poco funzionanti, personale demotivato, flusso di accesso decisamente inferiore a quanto ci si aspetterebbe, soprattutto a fronte di un “top management” così “impegnato”, attenzione verso l’inclusione delle persone con problemi o diversità sensoriali molto carente, per non parlare delle proposte in termini di conferenze ed allestimenti temporanei.
Vedete come, a proposito di detti popolari, il buon giorno si possa veramente vedere dal mattino. Una telefonata dai toni un po’ troppo sostenuti e risposte mai pervenute danno subito la descrizione di una realtà, pur anteponendo al giudizio ogni possibile attenuante.
Restiamo ancora sul “non ascolto”, sulla carenza della principale funzione per ogni formazione inserita in un mercato, con buona pace di coloro, che non riescono proprio a capire la differenza tra sistema-mercato (ovvero incontro tra domanda ed offerta, che può anche sussistere senza riferimenti monetari) e speculazione finanziaria. Qual è l’utilità di una entità, che conservi un patrimonio e lo ponga alla fruizione (limitata alla visione, s’intende) di una collettività, se non si pone il problema del perché quanto da essa custodito debba essere esposto o del perché qualcuno desideri vederlo e fruirne (sempre meno, malgrado lo sbandieramento dei dati di accesso dei soliti musei, che, per fare “numeri”, si aggrappano ad una pericolosa gratuità). Tali motivi, che è fondamentale cercare e considerare sempre come riferimento, non si trovano né, tantomeno, si possono comprendere, se i sistemi museali risultano essere adiabatici, sordi al pubblico, alle sollecitazioni della collettività o, solamente, incapaci di rispondere ad una email.
L’ascolto è parte della funzione di osservazione tipica del metodo scientifico, senza il quale tutto è un parere, ma nulla è scienza. La maieutica socratica si basava sull’ascolto della risposta del discepolo, non sul muto e supino ruolo di un pubblico pagante.
Come ovviare a questa stortura? Innanzi tutto, come si dice in certi ambienti, “il pesce inizia a puzzare dalla testa”. Occorre, perciò, trovare direttori in grado realmente di assumersi responsabilità. È necessario dare loro, anche dal punto legislativo, gli strumenti ed il potere decisionale necessario al loro ruolo. Soprattutto occorre imparare a sceglierli. Innanzi tutto sarebbe opportuno interrompere il pernicioso criterio clientelar-politico, seguito per l’assegnazione di certe posizioni al vertice di enti ed aggregazioni. In secondo luogo non è detto che porre in certe funzioni soggetti di grande successo sia garanzia di riuscita per il sistema. Non è scontato che un buon imprenditore possa essere anche un buon politico, così come un critico o un curatore automaticamente sappiano gestire la complessità di un museo o, meglio, di un sistema espositivo-didattico. Anche il migliore manager del settore medicale potrebbe non essere capace di gestire una galleria d’arte. Occorre imparare a formare tutte le figure professionali di settore mediante la creazione di entità e di offerte didattiche dedicate, gestite dal comparto stesso in questione, senza delegare ad altre istituzioni la titolarità di tale fondamentale attività.
Abbiamo molta strada ancora da percorrere per dare un vestito al re nudo: imparare a fare le cose, acquisire pragmatismo, liberarci da retaggi pseudo corporativisti istituzionali, ma, soprattutto, imparare ad ascoltare. Capisco possa essere pericoloso, comprendo che per una nascosta eletta minoranza possa essere increscioso sentirsi dire che al posto di un museo sarebbe più utile un parcheggio, un giardino o un centro commerciale, ma, come direbbe un adagio tratto dal verso del Poeta: “Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.
Ascoltate, ascoltate, ascoltate!
(1) Alla luce di quanto asserito, in cosa potrà mai consistere il valore di un museo?
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Titolo: “imparare ad ascoltare”
Sezione: “La copertina”
Autore: Gian Stefano Mandrino
Codice: INET1904040900MAN/A2
Ultimo aggiornamento: 04/04/2019
Pubblicazione in rete: 3° edizione, 04/04/2019
Proprietà intellettuale: INFOGESTIONE s.a.s
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