Questo articolo è stato pubblicato in occasione dell’intervista rilasciata a Network Museum da Stefano Bertuzzi, fondatore ed amministratore di iThalia s.r.l.
L’autore propone con rigore scientifico una analisi ed una comparazione delle App scaricabili presso gli enti museali dai visitatori, per una migliore esperienza di visita e di interazione con il percorso espositivo.
APP E VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI
Farle funzionare è possibile? Quali sono le condizioni che ne permettono l’uso?
di Stefano Bertuzzi
Il tempo in cui le esperienze di gioco erano considerate sacrileghe al cospetto della monumentalità monolitica dell’Arte e della Cultura è finito. In nome del marketing, nei musei, può entrare di tutto, dallo sfruttamento dell’eros, ai visori da videogames, alle challenges di gioco.
Penso non spiaccia davvero a nessuno che tanta vita entri nelle splendide sale dei nostri templi; ma la domanda alla base di questa metamorfosi comunicativa è tutt’ora irrisolta: esiste una cultura in chiave 2~3~4.0?
Il nostro sistema culturale ha prodotto qualcosa di nuovo o ha sempre cercato di far proprie le tendenze del momento, senza mai declinarle secondo i propri bisogni e le proprie necessità?
Al di là del positivo e intelligente sfruttamento dei proiettori di nuova generazione (altissime definizione e luminosità) all’interno degli spazi culturali per creare delle coreografie mobili e delle ricostruzioni molto coinvolgenti, siamo mai riusciti a declinare le nuove tecnologie in un senso proprio alla Valorizzazione dei Beni Culturali?
Per quanto riguarda le App, la risposta è semplice: no di certo.
Oggi va di moda dire che App e Cultura sono incompatibili.
Una ragione di fondo c’è e in questo articolo l’analizzeremo in modo scientifico.
Il rapporto fra committente e progettista software
Guardiamoci attorno, quante App di successo nascono da un
committente che ha un’idea e da un progettista terzo che la traduce
in linguaggio informatico? Quasi nessuna.
Nel caso specifico dell’Italia vi è anche una netta tendenza del
settore privato ad appaltare all’estero la realizzazione delle
proprie App.
Perché questo avviene? I motivi sono sostanzialmente due:
1) i nostri atenei insegnano di rado linguaggi come Swift® e Kotlin® che sono il riferimento di settore;
2) il nostro sistema di lavoro è improntato sui bassi salari e sul posto fisso; non c’è nulla di più castrante per l’informatica. Un bravo sviluppatore di App, all’estero, può guadagnare dalle 3.500 alle 6.000 sterline al mese
senza grandissimi sforzi. Viene da sé che si crei una tendenza per la quale rimane in Italia chi ha meno creatività e che, in ragione del posto fisso, tenda a non aggiornarsi semestralmente, come è invece assolutamente necessario in questo settore.
Riguardo al rapporto committente-progettista vi è poi una difficoltà pragmatica che crea grandi problemi non solo nel campo Culturale, ma in tutti i mandati di sviluppo di piattaforme digitali: il committente
non ha quasi mai una grande esperienza in tema di interfacce, di strategie, di processi e, men che meno, di progettazione.
In questo frangente è ovvio che nasca una tendenza generale al ribasso, in cui i progettisti informatici cercano d’usare quanto più il copia e incolla per soddisfare le richieste di un cliente molto facilmente manipolabile.
Il problema delle librerie software
Se il committente non entra mai a sbirciare il codice è molto difficile che il copia e incolla degli informatici non includa lo sfruttamento delle librerie. Cosa sono questi pacchetti?
Prendiamo l’esempio di un’App che debba aggiungere a una fotografia scattata dall’utente il nome dell’opera d’arte ritratta.
Per creare quest’App potrebbero bastare 5 minuti: si cerca su GitHub una libreria che attivi la fotocamera, faccia la messa a fuoco, decida se attivare il flash, ecc. … Si copia e incolla questa cosa, prodotta da MisterX del Nepal, e vi si aggiunge un’altra libreria di riconoscimento delle opere d’arte, magari prodotta da uno sviluppatore del Louvre.
Fatto.
Risultato? Con ogni probabilità il Louvre saprà quali sono le nostre
opere di tendenza in tempo reale e lo sviluppatore nepalese riceverà
una copia di tutte le foto scattate o dei metadati.
Le librerie sono quindi dei pacchetti di funzioni software, usati in continuo e a mani basse da tutti gli sviluppatori, per attivare le varie funzioni delle App, ma che sono prodotte da una comunità di soggetti molto difficilmente verificabile.
Affidereste voi la copia delle chiavi della vostra auto spedendole all’estero, a un indirizzo quasi anonimo e attendendo pazienti il reso
dell’originale e della copia?
La questione delle condizioni d’esistenza
Per iniziare ad analizzare un’equazione è sempre necessario indicare le condizioni d’esistenza entro le quali è possibile trovare la soluzione del
problema.
Quali sono le CE nel settore delle App Culturali.
1) Batteria. Al 30% di carica residua tutti ripongono il telefono in tasca. La visita di uno spazio culturale richiede almeno 2 ore. Presupposto che molti giungano in uno spazio culturale con il 70% di carica residua e che il fermarsi a ricaricare sia un’eventualità, ma non può essere la regola, un’App Culturale non può portare a zero la carica della batteria d’un
telefono, non molto recente, in meno di 5 ore.
2) Memoria. I telefoni stanno migliorando molto, ma il 74% dei dispositivi Android ha meno di 100MB disponibili per installare App aggiuntive. (fonte PlayStore). Un’App Culturale non può quindi pesare più di 50 MB
(spacchettati diventano almeno 90 MB).
3) Internet. Al di là delle difficoltà infrastrutturali dei musei per quanto riguarda la fibra ottica e le reti cellulari, stante la normale disponibilità di banda che abbiamo in Italia, riteniamo possibile attivare migliaia di download contemporanei su spazi fisici limitati e sperare che tutto vada
bene?
Se un’App Culturale ha bisogno di una banda dati che supera i 100 kb/s per attivarsi senza interruzioni non potrà mai funzionare.
I tempi di avvio di un’App
Uno dei primi casi di studio è stato cronometrare i tempi di avvio di una delle migliori App culturali italiane di uno dei primi 10 musei italiani per numero di accessi annui e di confrontare questi tempi tecnici con la risposta del pubblico.
Abbiamo scelto la soluzione migliore per peso non altissimo, grafiche molto accattivanti, nome personalizzato, icona molto riconoscibile, gratuità, animazioni meravigliose.
Dati dell’App: pacchetto di 75MB, tempo d’installazione medio 310
secondi, velocità di connessione buona (254 kb/s).
Condizione 1, accesso al museo molto scorrevole, nessun tempo di attesa in biglietteria o al banco accoglienza. In questa condizione il 9% dei visitatori ha cercato l’App, il 2% ha iniziato l’installazione. L’1,75% dei visitatori ha atteso 60 secondi per l’installazione prima di trascurare l’App e iniziare la visita; l’1,53% è arrivato ad attendere 90”, lo 0,74% ha atteso 120”, lo 0,004% ha atteso il termine dell’installazione.
Condizione 2, tempi d’attesa superiori ai 5 minuti in biglietteria e al banco accoglienza.
In questo caso, la misurazione ha registrato questi valori:
Il 15% dei visitatori ha cercato l ’App, il 7,6% ha iniziato l’installazione. Il 4,8% ha atteso 60” che l’App si installasse prima di riporre il telefono in tasca, il 2% ha atteso 90”, l’1,4% ne ha attesi 120”, lo 0,18% è giunto all’avvio dell’App.
Quali sono le condizioni necessarie per evitare la dispersione in avvio?
Analizzato un campione di 14mila visitatori, abbiamo teorizzato che
è necessario non superare i 40 secondi totali d’attivazione se si
vuole che il pubblico non abbandoni il processo di installazione di un’App. Questo valore temporale è infatti il periodo che il visitatore spende per passare dalle casse all’inizio della sua visita.
Abbiamo quindi disegnato un prototipo da 20MB e installato un ripetitore di segnale in biglietteria che portasse la banda internet disponibile a circa 550kbps; l’App era così installabile in 41”.
Dati raccolti sui primi 20000 visitatori:
Condizione 1
– interesse 11%
– avvio dell’installazione 7% (il netto aumento di questo dato è da imputare alla maggiore reattività degli stores grazie alla maggiore fornitura di banda)
– il 5% ha avviato l’App
Condizione 2
– interesse 16%
– avvio installazione 13%
– avvio App 9%
La nostra ipotesi è stata quindi verificata. Se si imposta il prodotto
correttamente esiste un interesse del pubblico e il dato di avvio delle App è non trascurabile.
Un ’App funzionante crea problemi alle audioguide tradizionali?
In tutti i nostri studi, su un campione totale di 3 musei, 2 templi e un totale di 130mila visitatori non abbiamo mai rilevato una sovrapposizione significativa fra gli interessati alle audioguide e gli interessati alle App. Il tasso di sovrapposizione massimo è stato dello 0,97%.
I numeri delle App, meglio dare visibilità al singolo sito con un prodotto ad hoc o sfruttare progetti standard, utilizzabili su più luoghi?
In questo caso le rilevazioni da compiere sono due, una in ingresso e una in uscita. Abbiamo quindi ri-effettuato il test precedentement e descritto
andando ad alternare nel tempo le due strategie di App e rilevando il
comportamento dei visitatori anche in uscita.
Ogni ciclo è stato composto dal monitoraggio di un’ App universale e di un’App ad hoc in un periodo temporale di 30 giorni così disposti:
– 30gg di fruizione per l’App ad hoc (1) in un periodo di bassa stagione
– 30gg di fruizione per l’App universale (2) in un periodo di bassa stagione
– 30 gg per l’App ad hoc (1) in un periodo temporale di alta stagione
– 30gg per l’App universale (2) in un periodo temporale di alta stagione
Tempo totale della prova: 4 mesi, luogo Ferrara , Palazzo
Arcivescovile, anno 2017.
Dati delle App:
Tipo 1: 21MB, installazione 53”.
– interesse 14%
– avvio installazione 6,8%
– avvio App 4,6%
Tipo 2: 18MB, installazione 37”.
– interesse 38%
– avvio installazione 21%
– avvio App 15,1%
Come era più che prevedibile, promettere al fruitore di poter sfruttare un prodotto anche su altri siti è di certo una scelta vincente.
Nessuno ama installare App che hanno un’utilità limitata a poche ore di fruizione.
Il dato ancora più interessante è il fine prova: le disinstallazioni.
Tipo1: tasso di disinstallazione al termine della visita 98%
Tipo 2: tasso di disisinstallazione dopo la visita 21%.
Evitare che le App vengano disinstallare è un obiettivo fondamentale. Sin che il visitatore le conserva nel proprio dispositivo sarà possibile attivare tutti i vantaggi di rete e di notifica che la moderna tecnologia consente. Ma se il pubblico cancella il supporto tutto questo è irrimediabilmente
perduto.
Riproduzione riservata: proprietà intellettuale riservata a Stefano Bertuzzi
Coordinate di questa pagina, fonti, collegamenti ed approfondimenti.
Titolo: “App e Valorizzazione dei Beni Culturali”
Sezione: “Tecnomusei”
Autore: Stefano Bertuzzi
Codice: INET1904010900MAN/A4
Ultimo aggiornamento: 01/04/2019
Pubblicazione in rete: 3° edizione, 01/04/2019
Proprietà intellettuale: INFOGESTIONE s.a.s
Fonte contenuti: iThalia s.r.l. – Ing. Stefano Bertuzzi
Fonte immagine: cortesia iThalia s.r.l.
Fonte video e contenuti multimediali: –
Collegamenti per approfondimenti inerenti al tema:
– https://www.networkmuseum.com/2019/04/01/una-app-fuori-dal-coro/
– www.ithalia.it
– http://www.museon.it/