Sovraesposizioni museali.


di Gian Stefano Mandrino

Da alcuni dati reperiti su web sembrerebbe (e con tutto il cuore spero di sbagliarmi) che tutto questo comunicare in tempo di pandemia da parte di molte istituzioni museali non abbia prodotto molto o che, addirittura, non si sappia (e forse non si saprà mai) cosa abbia sortito.

Certamente (fatte salve le solite eccezioni) un direttore di museo, che attraverso un video di fattura artigianale appaia in collegamento dal soggiorno di casa sua o che sui social, con immutata lacuna tecnica, faccia costante sfoggio della sua preparazione accademica, rischia di riscuotere lo stesso interesse di una degustazione di alcolici per un astemio.

Come potrete leggere nell’interessante intervista rilasciata a NM da Bruno Gatti, una vita dedicata alla comunicazione visiva, siamo di fronte (con le debite eccezioni) alla più totale improvvisazione tecnica e, aggiungo io, ad un grave deficit di capacità di gestione della comunicazione, la più rilevante funzione di conduzione di sistema, tra le oltre novanta contemplate dalla ricerca Infogestione.

È certamente facile comprendere gli stati d’animo di quei momenti, meno condivisibile il tipico atteggiamento di molti operatori culturali del nostro Paese (non di tutti fortunatamente), che, malgrado i ripetuti stimoli provenienti da ogni dove (non solo da un insignificante istituto come Infogestione), non sono mai andati oltre nel concepire la comunicazione come sinonimo di promozione, continuando a confondere il marketing con la pubblicità, la didattica con la “nursery”, la strategia con gli stanziamenti monetari, la ricerca con l’autoreferenzialità. Il tutto sempre condito con salse di interminabili giri di altisonanti parole e “lamentele-mantra” circa l’esiguità delle risorse finanziarie.

Mi ricordo che da ragazzo non perdevo una puntata dei primi Quark di Piero Angela, con le animazioni di Bruno Bozzetto, o dei documentari di Jacques-Yves Cousteau. Erano pionieri della propagazione della conoscenza, che operavano decisamente con mezzi molto più primitivi ed in un contesto sociale ancora tutto da sensibilizzare. L’evidenza dell’intelligenza nel loro operato, della capacità di fare ricerca e del coraggio profuso, per portare nelle prime serate televisive di allora tali tipologie di produzione, penso sia indiscutibile ed il risultato non possa mai essere stato considerato banale. Qualche decennio più tardi, in contesti tecnologici ben più favorevoli, malgrado tutte le attenuanti della circostanza, il comparto museale è riuscito, proprio in questi mesi di chiusura, a portarsi in sovraesposizione mediatica, colto da uno spasmo di barocchismo comunicativo, sfociato nella banalità dei social media, che tutto appiattiscono e rendono uguale, poiché non pensati per il vantaggio dei propri fruitori non paganti, ma per tutt’altra finalità d’impresa.

Suggerirei di analizzare i risultati di quanto prodotto durante la chiusura per pandemia, di verificare perché, da chi e come sia stata realizzata l’attività comunicativa e, soprattutto, di sforzarsi di chiedersi il senso di tutto ciò. Si potranno ottenere impensate risultanze e toccare con mano che comunicare è molto di più complesso, utile e, addirittura, pericoloso di quanto si possa pensare.

Comprendere la propria attività comunicativa significa poter disporre di un potente strumento in grado di permettere una azione di progettazione, di gestione e di controllo di ogni ambito della conduzione museale. Tutte le funzioni di gestione di un sistema espositivo-didattico possono, infatti, essere concepite come espressioni comunicative e come tali essere gestite. Un esempio ci è offerto dall’osservazione dei fenomeni naturali, come per il caso della generazione dei fulmini. Se potessimo vedere dallo spazio la propagazione della scarica elettrica in questione, ci accorgeremmo che essa sviluppa, su di una unica direttrice, due segmenti di senso opposto: uno diretto verso il suolo terrestre, l’altro verso lo spazio.
Analogamente ad ogni evento comunicativo corrispondono delle retroazioni, la cui capacità di analisi può risultare di notevole aiuto nella gestione del sistema, che le ha emesse, e dell’evoluzione dello stesso. Proseguendo nelle analogie mi piace accostare l’attività comunicativa ai tracciati di un radar o di un sonar, che permettono la rappresentazione dell’intorno del punto emiricevente, facilmente ignorabile, qualora ci si basasse esclusivamente sulla percezione non strumentale.

Da tale prospettiva un video, per molti addirittura da considerare una banalità tecnologica, non è più solo il surrogato bidimensionale di una rappresentazione di attività museale, ma un sofisicato e potente strumento di comprensione della relazione tra quanto esposto ed i destinatari dell’esposizione (occorre sempre ricordare che noi siamo al servizio della collettività e non i depositari esclusivi di qualcosa, che troppo sovente non consideriamo essere di tutti). L’approfondimento ed il potenziamento delle capacità di comprensione e di gestione dei fenomeni comunicativi, che coinvolgono tutte le funzioni della conduzione di un sistema, potrebbe fare evolvere l’attività didattico-espositiva a livelli di coinvolgimento, di sviluppo cognitivo, formativo ed introspettivo ben diversi da quelli esprimibili con pollici, cuoricini e faccine varie.

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Titolo: “Balbuzie culturali, sovraesposizioni museali e buoi zampettanti”.
Sezione: “La copertina”
Autore: Gian Stefano Mandrino
Codice: INET2006081000MAN/A1
Ultimo aggiornamento: 08/06/2020
Pubblicazione in rete: 3° edizione, 08/06/2020

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