“E quante volte, tornandoci sopra e rimettendosi col pensiero in quella circostanza, gli venivano in mente, quasi per dispetto, parole che tutte sarebbero state meglio di quell’insulso si figuri!”
Così Alessandro Manzoni nel capitolo XXIV de “I Promessi Sposi” procura una dubbia figura al sarto, uno dei tanti personaggi del capolavoro manzoniano, certamente tra i minori, come lo definisce la critica, ma positivo, buono, generoso, intelligente. Rispetto alla maggior parte dei suoi contemporanei non è analfabeta, ha letto dei libri e la cultura su di lui ha sicuramente un certo ascendente, a tal punto che non disdegna la possibilità di esibirla. Eppure, proprio durante l’occasione delle sua vita, con il cardinale Federigo Borromeo sotto il suo tetto, per via della liberazione di Lucia dal castello dell’Innominato, viene tradito dalla sua stessa passione e, in risposta ai ringraziamenti del santo prelato per l’assistenza prestata alla sventurata, gli si strozza in gola un banalissimo “si figuri!”.
Quel “Si figuri”, scelta dal Manzoni come formula di cortesia è, ancora oggi diffusamente usata; è la stessa forma verbale, che è possibile utilizzare in luogo di “immaginare”, “rappresentarsi nella mente”. Non potevo, pertanto, perdermi tale ghiotta analogia, per dedicare questa copertina al tema, che abbiamo scelto per quest’anno: la configurazione.
Ma torniamo al sarto. Ho appena descritto l’ascendente della cultura sul personaggio di manzoniana memoria. Per lui, molto probabilmente, il sapere rappresentava una temporanea emancipazione sociale ed esistenziale, come quella di chi si trova a condividere la compagnia di altri, appartenenti a condizioni sociali superiori, sentendosi, anche se per poco tempo, pari tra pari. Mi sono sovente chiesto cosa mai avesse potuto condividere con il cardiale, quale tema o quale espressione avrebbe desiderato utilizzare, per poi dimostrare al Federigo che cosa? L’erudizione come prossimità intellettuale, come sorprendente emancipazione delle classi inferiori, affrancamento o capacità di condivisione indipendente dalla differenza di estrazione, dignità non derivabile semplicemente dalla appartenenza allo stesso consorzio umano? Al momento non ci è dato di saperlo, ma sicuramente questo episodio ci permette di proporre l’argomento dell’anno: come la cultura influenzi il modo di interpretare l’immanente, l’intorno esistenziale ed il nostro rapporto con esso.
In altri termini, come a noi di Infogestione piace definire in dottrina, in quale modo quei libri letti dal bravo sarto, hanno contribuito a definire , a rappresentare, a configurare ciò che stava vivendo in rapporto alla sua esperienza maturata attraverso molteplici fattori.
Per estensione di quanto sino a qui definito potremmo, dunque, chiederci in quale modo i musei influenzino le nostre configurazioni cultuali, intese, sempre secondo dottrina, come l’interpretazione e la condivisione di strategie di sopravvivenza. Il quesito è formulato quale logica conseguenza dei temi proposti da NM in questi utlimi due anni: “Come comunicano i musei?” e “Cosa comunicano i musei?”, per porre l’accento sugli effetti della comunicazione e della didattica museale o, perlomeno, della capacità e delle modalità, con cui si potrebbe proporre la questione, tutt’altro che oziosa, poiché aspetto fondante di ogni sistema educativo e formativo.
Siamo certi di cosa stiamo trasmettendo ai fruitori dei nostri musei? Siamo certi che esistano i soggetti proposti nell’opera di Octavio Ocampo, scelta come copertina introduttiva del tema dell’anno, o tutto, compresa la nostra esistenza, è una proiezione “relativistica” della nostra esperienza, un costrutto ad esclusiva valenza soggettiva? E, quindi, i musei…?
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Titolo: “Si figuri!”
Sezione: “La copetina”
Autore: Gian Stefano Mandrino
Ospite: –
Codice: INET2102021630MAN/A1
Ultimo aggiornamento: 02/02/2021
Pubblicazione in rete: 4° edizione, 02/02/2021
Proprietà intellettuale: INFOGESTIONE s.a.s
Fonte contenuti: Network Museum
Fonte immagine: “Solo Para Siempre” di Octavio Ocampo – https://www.google.com/
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