Con gli occhi e con le mani


a cura della redazione di Network Museum

Prosegue il nostro viaggio oltre l’idea di accessibilità alla ricerca di come possa essere interpretata la fruizione del patrimonio culturale da parte delle persone con limitazioni sensoriali.

Come ormai da qualche mese stiamo specificando, non siamo interessati a denunce e gogne su casi di disattese applicazioni di norme e di buon senso da parte di enti ed istituzioni. Sappiamo che in tale ambito c’è ancora molto da fare, ma riteniamo che l’accesso al patrimonio sia un requisito di base, su cui quasi tutto sia stato detto, soprattutto per quanto concerne l’abbattimento delle barriere architettoniche.

Il problema, inoltre, non interessa esclusivamente i singoli edifici preposti alla conservazione ed alla esposizione dei beni culturali. Anche il più zelante museo, immerso in una realtà urbanistica non rispettosa della libera e sicura circolazione di tutti i cittadini, può vedere vanificati tutti i suoi sforzi.

L’argomento è senza dubbio urgente ed importante, ma occorre “solo” avere la volontà di adempiere a ciò che si deve fare e che si conosce benissimo da molto tempo: occorre ben più delle osservazioni di questa sperimentazione da niente, per smuovere egoismi collettivi, ignoranza e miopia civico-amministrativa.

Ciò che spinge il nostro intento non è la pietistica ed errata idea di rendere alcuni conformi agli standard sensoriali dei più (anche perché da sempre la maggioranza non è sinonimo di verità), ma comprendere come permettere una adeguata e completa fruizione del patrimonio culturale anche a chi percepisce diversamente e, soprattutto, come condividere la sua lettura del mondo. Abbiamo ragionato su tutto questo con Aldo Grassini, cofondatore e Presidente del Museo Tattile Statale Omero di Ancona.


Aldo Grassini 

Aldo Grassini. 
Laureato in filosofia all’università di Bologna nel 1966, ha insegnato per 37 anni Storia e Filosofia nelle scuole superiori. 
Fondatore insieme alla moglie Daniela Bottegoni del Museo Tattile Statale Omero di Ancona, di cui è attualmente il Presidente con funzioni di Direttore. 
Fondatore dell’associazione “Amici della lirica” di Ancona. 
Uno dei fondatori del Tribunale per i Diritti del Malato di Ancona. 
Ha partecipato attivamente alla vita politica della città ricoprendo la carica di Consigliere per tre mandati. 
Da 40 anni si occupa dei non vedenti e nell’ambito della Unione Italiana Ciechi ha ricoperto anche cariche a livello nazionale. 
Attualmente è membro del Collegio dei Probiviri dell’Unione Italia Ciechi ed Ipovedenti. 
Impegnato sin dall’adolescenza nel movimento esperantista, è stato tra l’altro Presidente della Federazione Esperantista Italiana e Presidente della Lega Internazionale dei Ciechi Esperantisti, attualmente è socio di entrambe. 
Innumerevoli sono le pubblicazioni in giornali e riviste nonché le sue partecipazioni a convegni, seminari e corsi di formazione con interventi sulla psicopedagogia tiflologica, formazione di docenti, educatori ed operatori museali sulle tematiche dell’accessibilità e dell’educazione alle persone con minorazione visiva. 
Nel 2015 è uscito il volume “Per un’estetica della tattilità. Ma esistono davvero arti visive?” nella collana Medico-psico-pedagogica della Armando edizioni di Roma.


Network Museum – Chi è Aldo Grassini?

Aldo Grassini – Aldo Grassini come tutte le persone è molte cose. Attualmente sono il presidente con funzioni di direttore del Museo Tattile Statale Omero. Sono un non vedente: ho perso la vista all’età di sei anni, a causa dello scoppio di un residuato bellico. Ho vissuto tutta la mia vita da cieco. Ho sempre vissuto in mezzo ai vedenti, misurandomi sempre con loro ed ho capito una cosa: se avessi voluto essere uguale a loro, avrei dovuto lavorare almeno il doppio. Non ho mai avuto paura del lavoro, dell’impegno, del dover essere tenace e sono riuscito a misurarmi anche con chi era vedente, ottenendo, in alcuni casi, anche dei risultati migliori. Ho frequentato le scuole elementari privatamente, per poi proseguire gli studi presso le scuole pubbliche, anche se un po’ “fuori legge”, perché, allora, il concetto di integrazione scolastica non esisteva: occorre, a questo proposito, ricordare che sono nato nel 1940. Mi sono laureato all’Università di Bologna, in filosofia e per trentasette anni sono stato insegnante, la vera vocazione della mia vita. Mi sono sposato con una persona non vedente e non ho figli.

Nella vita ho fatto tante cose e sono stato sempre fortemente impegnato sia nella settore della cultura che in quello sociale. Per quanto riguarda la cultura, oltre ad essere insegnante, ero appassionato, soprattutto, di lettere classiche. Ho scelto lo studio della filosofia, perché, allora, quando mi sono iscritto all’università, nel 1959, non avrei potuto insegnare nella scuola pubblica materie letterarie. Poi tale possibilità è stata concessa, ma ormai mi ero dedicato alla filosofia e quindi ho proseguito su tale strada.
Mi sono sempre interessato di cultura, anche promuovendo iniziative di vario genere. Per esempio, come grande appassionato di musica, e soprattutto di musica lirica, in Ancona ho fondato l’Associazione Amici della Lirica, nel 1980, che ha svolto tutta una serie di attività.
Uno degli aspetti culturali importanti, per quanto riguarda la mia formazione, è l’essermi appassionato a 16 anni all’esperanto: la lingua internazionale, che è il frutto di un ideale di pace, di fratellanza universale, di tolleranza, di amicizia tra i popoli e di confronto tra le culture. Questo credo che mi abbia formato profondamente, grazie a questa passione ho potuto compiere numerosi viaggi. Ho visitato 62 paesi, alcuni anche più volte, e quindi ho potuto capire l’importanza del confronto tra le culture ed il rispetto che è dovuto a tutti.


Anche nell’ambito scolastico sono stato impegnato per molti anni nel sindacato della scuola, e precisamente quello della scuola media aderente alla CISL. Sono stato tra i fondatori del sindacato della Provincia di Ancona, per molti anni ho fatto parte del direttivo, del consiglio scolastico provinciale e del distretto scolastico. Sono stato impegnato anche in politica, sempre, però, con l’intento di portare nella politica un’esperienza sociale e culturale. Sono stato per tre volte consigliere comunale del Comune di Ancona, appassionandomi alle questioni della comunità. Un impegno sociale importante è quello della lunga militanza all’interno dell’Unione Italiana Ciechi, dove ho ricoperto diversi incarichi e funzioni: a livello locale, regionale e nazionale. Ho lavorato con particolare impegno per soddisfare le esigenze, che potevano presentare i ciechi nell’ambito della cultura. Ho promosso varie iniziative, tra cui, per esempio, quella in collaborazione con la sezione UIC a favore di un’iniziativa editoriale Braille, il cui intento era quello di pubblicare libri a prezzi accessibili.
La mia battaglia politica e sociale è sempre stata condotta in favore del diritto all’uguaglianza, alla pari dignità, alle pari opportunità, principalmente dei disabili visivi, ma anche di tutte le altre tipologie di disabilità e di svantaggio.


Io e mia moglie, da viaggiatori appassionati, ci siamo dovuti scontrare sovente con gli assurdi divieti che in tutti i musei vengono posti: “Non si può toccare!”, che riferito ad un cieco e come dire ad un vedente di non poter guardare. Da questa esasperazione è nata l’idea di mia moglie, che ho subito colto al volo, di raccogliere in un luogo le riproduzioni dei grandi capolavori dell’arte, in modo da consentire anche ai ciechi di poterle conoscere e di godere della bellezza dei capolavori del genio umano. Così è nata l’idea del Museo Omero: l’uovo di colombo, una cosa, in fondo, semplicissima, quasi ovvia. Siamo stati, forse, i primi al mondo a pensare questa cosa o, i primi a farla. Comunque sia nel 1993 è nato il Museo Omero e da allora abbiamo portato avanti questo impegno, che, nato come museo comunale, grazie ad un finanziamento della regione, è stato riconosciuto come museo statale ed ora è una realtà.

Network Museum – Cos’è la cultura e qual è il ruolo di un museo per Aldo Grassini?

Aldo Grassini  La cultura è tutto e tutto è cultura. È il comportamento dei singoli e della società presi insieme. Quando si dice che tutto è cultura, effettivamente si intende che qualunque espressione della vita e dell’attività umana sia cultura. Detto questo, però, non sono di quelli che, quindi, considerano che tutte le culture e che tutte le espressioni siano uguali. Sotto questo profilo chiaramente sostengo che si debbano fare delle distinzioni e cogliere determinati aspetti e valori. È cultura il modo di esprimersi di un individuo, magari anche semplice, perché comunque rappresenta qualcosa. Chiaramente l’espressione artistica di un grande genio è anch’essa cultura, anche se si colloca su di un livello sicuramente diverso. Ci vuole rispetto e comprensione per tutto, però bisogna, come ho detto, saper distinguere e valorizzare il tutto nel modo dovuto. Sul discorso della cultura ci si potrebbe dilungare moltissimo, ma penso che quanto affermato poc’anzi faccia comprendere il mio pensiero sull’argomento.

Passiamo ora al ruolo del museo in relazione allo stesso argomento, che è, soprattutto, quello di raccogliere e trasmettere l’espressione della cultura umana. Tutti sono preposti a tale scopo: dal museo della civiltà contadina sino ai Musei Vaticani. Questo era il ruolo del museo, a cui, oggi, se n’è aggiunto anche un altro, fondamentale: valorizzare e consentire la fruizione dei contenuti. I beni culturali si conservano per cosa? Per se stessi? Si conservano per gli esseri umani, che hanno la possibilità, così, di raccogliere questa comunicazione e di goderne e fruirne in modo adeguato. Credo, quindi, che il ruolo del museo sia questo, partendo dal presupposto che i beni culturali siano patrimonio dell’umanità, e quindi vanno tutelati, salvaguardati e conservati per il futuro. Questo tesoro presuppone, quindi, che tutti gli esseri umani abbiano uguale diritto a fruirne. Ecco l’importanza della valorizzazione. Un museo chiuso è una contraddizione in termini. Se fino a ieri l’idea era un po’ quella che in fondo il museo dovesse servire per gli studiosi, per qualche persona che avesse il privilegio culturale e sociale per poterne usufruire, adesso, invece, sta prevalendo il concetto che i musei debbano servire per tutti. Io sottolineo questo aspetto: è un diritto poter beneficiare dei beni culturali ed il Museo Omero, in particolare, vuole essere un museo senza barriere. Non mi piace tanto la definizione di “museo per i ciechi”, perché sin dalla nascita è stato concepito come un museo per tutti. Un museo senza barriere significa quindi che chiunque entri abbia la possibilità di fruirne in rapporto alle proprie esigenze ed alle proprie condizioni.

Network Museum – Cos’è il Museo Tattile Statale Omero?

Aldo Grassini – Il Museo Omero è stato realizzato, come ho detto prima, per offrire la possibilità anche ai ciechi di conoscere e di godere dell’arte. Ci siamo accorti, però, che il toccare è un piacere, che appaga tutti e quindi abbiamo scoperto una cosa che non era così scontata e non lo è neppure oggi: il tatto non è semplicemente per i ciechi o per chi lo usa, comunque, in sostituzione della vista, ma è qualcosa di più, di specifico, di particolare. Il tatto ha le sue peculiarità, così come la vista e gli altri sensi. Questo significa che attraverso il tatto è possibile una via diversa, alternativa, alla fruizione dell’arte, anche per chi vede, che, quindi, può aggiungere la facoltà tattile a quella visiva. Questo ci ha confortato nel proseguire su di una linea che, di fatto, abbiamo sempre praticato: cercare di offrire qualcosa che possa apportare beneficio a tutti e, secondo me, questo concetto è fondamentale.

Network Museum – Chi sono le persone con limitazioni sensoriali?

Aldo Grassini – Sono coloro, che hanno delle limitazioni come tutte le persone. Chi non ha limitazioni sensoriali, magari ne accusa altre, come quelle sociali, per esempio. Nella vita non vi sono persone, che non abbiano limiti: siamo, per definizione, degli esseri limitati. Anche il più grande campione dello sport, dal fisico e dalle prestazioni eccezionali, ebbene, anche lui o lei avrà i suoi limiti, magari in altri ambiti. Anche i sensi non sono usati da tutti nella pienezza delle loro funzioni e possibilità. Se, per esempio, di due persone vedenti, che guardano un quadro, uno è un pittore e l’altro no, il primo riuscirà a vedere nell’opera cose che l’altro non vede, ma che magari potrà apprezzare, quando l’altro gliele farà notare. Questo significa che quello dei due che non è un artista, in questo caso accusa delle limitazioni. Queste sono dovute non allo “strumento”, all’organo visivo in sé, non siamo, quindi ,in presenza di una limitazione sensoriale nel senso fisico e fisiologico, ma ad un limite dovuto alla cultura del soggetto, alla sua pratica o alla sua quotidianità. Ognuno vive una vita di limitazioni e deve organizzarsi in rapporto alle sue possibilità. Io non vedo dall’età di sei anni e tra le mie possibilità quella di essere un pilota automobilistico di formula 1 non c’è, non c’è mai stata. Conosco, però, tante persone vedenti, che non hanno mai fatto il pilota automobilistico. Ciò significa che si può vivere anche senza essere un protagonista della Formula 1. Una persona che non vede non potrà compiere certe operazioni, però ne potrà fare molte altre, che magari altri normalmente non esprimono, non perché solo non possano, ma perché sono impegnati o condizionati da altri aspetti. Da bambino ero un grande appassionato di calcio e giocavo con i miei compagni, però, non vedendo, ero una “schiappa”, ovviamente, e, spesso e volentieri, quando eravamo in numero dispari, ero io quello che rimaneva senza giocare. Come ho cercato di sopperire al fatto che io non potessi giocare a causa della mia limitazione visiva? Innanzi tutto lavorando il doppio: ero super allenato, avevo fiato e resistenza in quantità, ciò mi procurava una notevole tenacia, per esempio, nel marcare l’avversario, però ciò non bastava. Con i miei risparmi, allora, sono riuscito a comprarmi un pallone di cuoio, che a quei tempi, nel dopoguerra, non possedeva nessuno dei miei compagni. Da quel momento sono riuscito a giocare sempre: in qualità di proprietario del pallone non poteva essere contemplato il fatto che io non giocassi. Morale? Io ero una “schiappa”, perché vedevo poco, ma ero riuscito a comprarmi il pallone e, quindi, a trovarmi avvantaggiato rispetto ad una limitazione, che avevano gli altri, aspetto che, in qualche modo, compensava il mio limite. Tutto ciò per fare capire che, in fondo, le possibilità che un essere umano ha sono moltissime. Tra queste, e questo è l’aspetto fondamentale, che vale soprattutto per chi ha delle limitazioni sensoriali, la cultura è un elemento essenziale. Avere una preparazione vasta e profonda ti dà una quantità di frecce, che arricchisce il tuo arco in maniera straordinaria. È fondamentale, quindi, soprattutto dal punto di vista educativo, quando si tratti di disabilità, una istruzione adeguata. L’idea di alleggerire il carico culturale di una persona, perché tanto si trova in condizione svantaggiata è sbagliata: facciamogli, invece, fare tutto quello che è possibile, impegnandolo ai limiti delle sue possibilità. Se vogliamo in qualche modo raggiungere qualcosa nella vita, dobbiamo sapere che dobbiamo faticare: questo vale per tutti ed a maggior ragione per una persona, che presenti disabilità. Chi, per esempio, si trova in una situazione socialmente difficile, se vuol raggiungere certi risultati, deve impegnarsi molto più di altri, per riuscire a coglierli. È pur vero che esistono delle disabilità, per cui oltre certi limiti non si può arrivare: accontentiamoci di ciò che è possibile raggiungere, ma non partiamo mai con l’idea che sia inutile tentare, perché “tanto non ci si riesce”. Quante persone ci hanno stupito, per essere riuscite a compiere ciò che sembrava impossibile.

Network Museum – Cosa significa “accessibilità” nel contesto culturale e museale?

Aldo Grassini – Accessibilità significa possibilità di accedere. Tale termine, la cui conoscenza risulta diffusa soprattutto per iniziativa dei disabili motori, è associato al fatto che le barriere architettoniche sono le prime ad essere state attaccate ed affrontate sul piano sociale e sul piano legislativo. La legge per il loro abbattimento, la 118, è del 1971. Accessibilità significa proprio possibilità di accedere, abbiamo detto. Un disabile motorio, se si muove con una carrozzina e trova una barriera architettonica, non può nemmeno entrare nel museo. Avevo un amico, che è stato mio predecessore come presidente presso questo museo, e lui si spostava in carrozzina. Era una persona straordinaria, soprattutto per vivacità. Un giorno gli hanno conferito un riconoscimento cittadino ad Ancona per la sua attività ed il suo impegno in ambito artistico e culturale. La consegna dell’onorificenza sarebbe dovuta avvenire presso il Palazzo degli Anziani, un palazzo storico ed importante della città, ma a causa delle barriere, che impedivano l’accesso all’edificio, e proprio per evidenziare tale aspetto, il mio amico ha voluto fortemente che questo premio gli venisse conferito sulla strada. Ritengo abbia fatto benissimo: ha reso pubblico questo problema nella maniera più evidente.


Nel tempo si è cominciato a capire, ed ora l’argomento sta maturando, che non esistono solo le barriere fisiche, ma vi sono altri tipi di ostacoli, quali quelli sensoriali. Tra questi vi è l’impossibilità per un cieco, che visiti un museo, di poter toccare quanto esposto. Se mi si chiede di non toccare è come se ad un vedente si chiedesse di non guardare e gli si bendassero gli occhi durante la sua visita museale. Siccome abbiamo detto che fruire del patrimonio culturale è un diritto per tutti, allora è necessario garantirlo. Il che non significa, per quanto riguarda i ciechi, che si possa toccare tutto, ma si deve, comunque, partire dal presupposto di distinguere ciò che effettivamente può essere danneggiato da ciò che non potrebbe essere danneggiato. Vi assicuro che la maggior parte degli oggetti che si trovano nei musei, non subirebbero alcun danno, se venissero toccati. Quindi, tornando al concetto di accessibilità, per prima cosa si impone una rivoluzione culturale: capire che fruire di ciò che è disponibile presso un museo è un diritto per tutti e poi operare in modo conseguente, trovando le soluzioni che possono essere più idonee, per raggiungere quei risultati, che sono diversi a seconda del tipo di limitazione. Per la sordità, per esempio, la cosa importante è adeguare l’informazione, la comunicazione: è un deficit che non richiede qualcosa di particolare nell’allestimento espositivo. Purtroppo i percorsi museali sono progettati come se tutti potessero vedere: nel caso della sordità, appunto, si tratterebbe solo di risolvere un problema di comunicazione. La crisi più grande nell’allestimento di un museo è originata, invece, dalla problematica di chi non vede, poiché si mette in discussione proprio il concetto fondamentale su cui si fonda tutta la museologia tradizionale e cioè che nei musei si vada per vedere. Se per un cieco è un diritto poter accedere al museo, occorre che quel concetto sia messo in discussione. Questo ci porta a mettere in dubbio anche una certa idea di arte. L’arte è soltanto visiva? Oggi noi vediamo degli artisti contemporanei, che scoprono il valore della multisensorialità e producono opere multisensoriali, giustificando, così, la nostra obiezione all’idea che l’arte sia soltanto visiva.

L’accessibilità può, inoltre, trovare compimento in una accoglienza adeguata quando si entri in un museo. Nel caso del non vedente, del sordo, di chi ha problemi psichici, è importantissimo l’atto dell’accoglienza sia dal punto di vista psicologico che dal punto di vista tecnico, ovvero delle modalità di presentare, di descrivere gli oggetti, di spiegare e di fare comprendere gli argomenti. Si parlava prima di barriere: non vi sono solo barriere sensoriali, vi sono anche altre barriere. Alcune prendono forma in pregiudizi, in luoghi comuni, in tabù. Il fatto che in un museo non ci si debba avvicinare più di tanto alle opere o non si debba alzare la voce inibisce, per esempio ai bambini, di partecipare, mentre essi devono poter essere partecipi, devono abituarsi sin dalla più tenera età a convivere e ad avere dimestichezza con alcune cose importanti, grandi, belle ed interessanti. Il museo è fatto per tutti, anche per i bambini. E’ evidente che la fruizione dei più piccoli non potrà essere come quella dello scienziato o dello studioso: è ovvio! Accessibilità significa proprio entrare nell’ottica appena descritta: il museo è per tutti e deve mettersi in condizione di rispondere alle esigenze di tutti.

Pensiamo alla legge 517 del 1977, quella che ha aperto la scuola ai disabili. Essa ha rovesciato il concetto stesso di educazione e di scuola. Prima la scuola era di un certo tipo, aveva un suo standard e chi non era in grado di essere conforme allo stesso, o perché somaro o perché disabile, doveva andare altrove. Con questa svolta si è capito, invece, che la scuola, essendo per tutti, deve andare verso gli allievi, farsi carico dei problemi di ciascuno e cercare, nei limiti del possibile, di risolverli. Se questo concetto lo trasferiamo dalla didattica scolastica alla museologia, capiremo che dovremo avere, in futuro, dei musei molto diversi da quelli che abbiamo realizzato sino ad ora.

Network Museum – Cosa prevede la vigente normativa per i visitatori con limitazioni sensoriali?

Aldo Grassini –  Dal punto legislativo (per le limitazioni sensoriali e non quelle motorie) non vi è praticamente nulla, se non delle linee guida, che il ministero ha elaborato nel 2008. Sulla base di queste è cambiata la definizione del ministero: il museo non ha più il compito soltanto della conservazione del patrimonio, ma anche quello della valorizzazione: ecco, quindi, introdotta la questione della fruizione. Lo stesso ministero sta ricomponendo una commissione, per rivedere quelle medesime linee guida, poiché ormai sono trascorsi nove anni, molte cose sono cambiate e se ne sono capite altre, che allora erano forse meno evidenti. Se un tempo si pensava soprattutto alla situazione, di chi si trovava in difficoltà fisica, ora ci si riferisce maggiormente ad altre limitazioni. È maturata, sempre a livello ministeriale, una maggiore sensibilità rispetto al problema. Ciò mi rende ottimista. Quando è nato il Museo Omero, nel 1993, eravamo una voce, che gridava nel deserto, ora l’accessibilità è divenuta e sta sempre più diventando una questione attuale e non c’è museo che non se la ponga, salvo, magari, non riuscire a risolvere più di tanto. Vi sono anche molte persone, che con entusiasmo si stanno prodigando in questa direzione.

Network Museum – Cosa accade, invece, dal punto di vista normativo in Italia ed all’estero?

Aldo Grassini – Noi italiani siamo sempre convinti che all’estero siano migliori di noi: in questo caso non è vero. Se parliamo di accessibilità motoria, molti paesi sono più progrediti del nostro, perché hanno iniziato prima e perché in molte nazioni non c’è tutta la nostra complessità architettonica ed urbanistica, che rende molto più oneroso il problema dell’abbattimento degli ostacoli. Ormai anche in Italia la questione delle barriere è presente alla coscienza di tutti e non è solo un tema museale. Occorre, per esempio, tener presente che se è la stessa città, sede di tali istituzioni, ad essere cosparsa di ostacoli, tale sua condizione rende il tentativo virtuoso dei musei quasi nullo. Un esempio in tal senso, sempre riferendomi al mio amico e predecessore, che si spostava in carrozzella, mi sovviene ricordando quanta difficoltà abbiamo riscontrato lui ed io a Parigi, nel trovare un ristorante in pieno centro cittadino, che avesse un accesso privo di gradini.


Per quanto riguarda l’aspetto delle barriere sensoriali, ed in modo particolare quelle relative alla vista, devo affermare che in Italia non siamo arretrati rispetto ad altri, anzi, per molti versi possiamo anche ritenerci d’esempio. Ho notato che nei paesi scandinavi ed anglosassoni, così come in Francia, prestano moltissima attenzione all’accoglienza ed hanno anche delle norme, che regolano tale attività. Per esempio nel Regno Unito vige una legge, risalente, mi pare, al 2010, che sancisce il diritto di tutti alla fruizione del patrimonio. Come voi sapete, gli inglesi sono un popolo particolarmente formale: sancito il diritto non vi è sempre corrispondenza nella realtà. Inoltre, in questi paesi, considerati sovente più “evoluti e civili” il tabù del non toccare è assoluto, il che, come sappiamo, costituisce un particolare ostacolo per i non vedenti. Ho visitato diversi musei a New York, il Metropolitan, il Guggenheim, il Moma, e ho riscontrato l’impossibilità di toccare alcunché. In Francia usano molto i sussidi, e soprattutto i disegni in rilievo, ma anche lì, seppure con le dovute eccezioni come quella rappresentata dal Museo Rodin per le parti in bronzo rese accessibili al tatto, il toccare è vietato.


Tornando all’Italia, la situazione, come sempre, è molto variegata. Abbiamo dei luoghi in cui il divieto è più rigido e dei luoghi in cui si sta operando per l’accesso tattile. Vi è da segnalare un aspetto assai rilevante in tal senso: è crollato il mito degli Uffizi. Anche presso tale prestigiosa istituzione museale è stato allestito un percorso tattile, con una ventina di sculture romane originali, che possono essere toccate dai ciechi con l’uso di guanti. Questo rappresenta un passo notevolissimo, perché tale ente si può certamente considerare il più importante museo italiano al chiuso.


Oggi vi sono tante iniziative a sostegno dell’accessibilità sensoriale. A volte si tratta semplicemente di percorsi tattili con risultati parziali, con un numero ridotto di oggetti, che magari escludono quelli più importanti, ma l’importante è che si cominci a lavorare. È da sottolineare il fatto che il Museo Egizio di Torino abbia cominciato nel 1983/84, primo assoluto, a lasciar toccare le sculture egizie ai ciechi. Si tratta di una cosa normalissima, a pensarci bene, ed in tal senso vi propongo una riflessione. Innanzi tutto le sculture egizie sono quasi tutte dei monoblocco, quindi piuttosto massicce. Inoltre i materiali, di cui sono composte, sono il basalto, il granito, il porfido, tutti durissimi, per cui non farle toccare non avrebbe veramente senso. Anche nel padiglione dedicato all’arte dell’Antico Egitto del Metropolitan Museum di New York le opere composte da tali materiali sono toccabili, mentre altrove vige ancora tale divieto e sarebbe interessante conoscerne il motivo.


In Italia esiste il Museo Omero, l’unico museo statale al mondo definito come museo tattile, che non ospita solo le riproduzioni in scala originale di grandi capolavori della scultura ed i plastici di alcuni importanti monumenti, ma anche una galleria d’arte contemporanea, che è costituita completamente da opere originali, dove tutto si può toccare. E’ eloquente il fatto che non si sia mai registrata alcuna lesione delle opere: ciò significa che, spesso, abolire o limitare tale divieto, è solo questione di volontà.


Riferendomi nuovamente all’estero, per concludere la risposta, l’attenzione esiste, è molto forte nei paesi più evoluti, però per quanto concerne la disabilità visiva permane il problema della rigidità del divieto di toccare. Penso che tale aspetto possa essere ricondotto ad una sua origine culturale. Tra le popolazioni di tradizione protestante, caratterizzate nella storia da una morale molto più seria e severa, il tatto potrebbe risentire ancora del retaggio che lo considera il senso più maledetto, più peccaminoso: è il senso dell’erotismo, del possesso. Tale visione sembrerebbe trovare conforto in ciò che ho potuto rilevare durante la mia visita alla sinagoga di Gorizia, proprio qualche giorno fa, dove il Rotolo della Legge non è toccabile neppure dal sacerdote: ciò che è sacro non si può toccare. Sembra che tale concetto traslato prenda consistenza proprio nel fatto che nei musei vi siano custodite cose belle ed importanti, che vanno conservate e considerate come sacre e quindi da mantenere ad una certa distanza, pena la loro contaminazione. È una cultura con la quale noi dobbiamo veramente misurarci quotidianamente.

Network Museum – Una persona con limitazioni o diversità sensoriali è solo un individuo, per cui debba essere resa “disponibile” una percezione sensoriale “alternativa” nei confronti di quanto esposto , o vi sono orientamenti atti a cogliere il rapporto con tali visitatori, quale fonte per un ulteriore e differente arricchimento di approcci e prospettive?

Aldo Grassini  Per me questo è un assist e la risposta è scontata: è la numero 2!

Prima ho insistito molto sul concetto che il tatto, dal punto di vista estetico, non è sostitutivo della vista, ma rappresenta una via alternativa, e credo che noi, come Museo Omero, abbiamo aiutato anche chi vede a scoprire tale beneficio. Mi sono sempre chiesto, infatti, perché il nostro museo sia visitato da tanti vedenti e che cosa ci trovino di così interessante. Certamente provano, anch’essi un’emozione particolare, quando riescono a toccare le opere. È suggestione? Può essere, ma guardate che anche la suggestione è parte dell’esperienza estetica, non è qualcosa di estraneo. Cerco di spiegarmi questo aspetto anche in un altro modo. Noi al Museo Omero abbiamo adottato il seguente slogan, che recita: “Si ama con gli occhi e con le mani”. Le cose che noi amiamo, così come le persone, non ci accontentiamo di guardarle, le dobbiamo anche accarezzare: preferisco, infatti, il verbo “accarezzare” alla parola “toccare”. Noi non vogliamo tastare i capolavori dell’arte, li vogliamo accarezzare. Ciò significa non soltanto conoscerli, capirli, vederli, ma anche esprimere nei confronti degli stessi una sorta di affettività, che col senso del tatto, forse, è più facilmente ed intensamente esprimibile che con la vista. Guardare un oggetto significa essere consapevoli che esiste comunque una distanza, uno spazio tra chi guarda e l’oggetto che è guardato. Quando noi, invece, lo accarezziamo, tale lontananza scompare e con esso diventiamo una cosa sola. Per i bambini, così come per la persona amata, vale il fatto che non basta guardarli, ma desideriamo anche accarezzarli. Così anche per gli oggetti, che amiamo: ci piace tenerli con noi. Se amiamo l’arte, perché tutto ciò non deve proprio valere anche per tale espressione? È un aspetto, che stiamo scoprendo, proprio qui al Museo Omero, dove ci rendiamo conto che, a volte, anche i vedenti sono vittime di una specie di Sindrome di Stendhal. In tutti i musei del mondo ci sono le transenne, i sistemi di allarme, i vigilanti, le vetrine: evidentemente toccare è qualcosa di istintivo, necessario, esigenza molto più comune di quanto si possa immaginare: è una attitudine, che potrebbe essere considerata anche per altre limitazioni sensoriali.

Network Museum – Come i musei, gli enti espositivi ed il mondo della cultura in genere possono fruire delle esperienze del pubblico con limitazioni o diversità sensoriali?

Aldo Grassini   È molto semplice: permettendole. La prima cosa importante, almeno tale mi sembra da questo punto di vista, è che i musei ed i luoghi della cultura siano frequentati da persone, che presentino delle limitazioni. Occorre abituarsi ad osservare come tali visitatori cerchino di superare le loro difficoltà e come provino a trovare in se stesse la forza ed il modo per superarle. Tutto ciò è fondamentale. Poi, ovviamente, ci sono anche altri mezzi: i corsi di formazione, i libri, le riviste ed un’attenzione intelligente. Se in un museo arrivano sistematicamente delle persone con disabilità e tutto questo viene registrato ed accolto con intelligenza, credo che ogni volta qualcosa di nuovo si possa apprendere dai visitatori. Alla fine si arriverà anche ad elaborare dei protocolli più stabili, anche se ho un po’ di diffidenza nei confronti degli stessi. Le procedure sono necessarie, ma guai se sono troppo rigide, perché questo è un ambito in cui non si può applicare la regoletta: ogni caso è un caso a sé e ci vuole, soprattutto, sensibilità ed intelligenza da parte di chi effettua l’accoglienza, in modo da poter risolvere molti problemi. In tal modo si impareranno anche molte cose, utili per aggiornare i protocolli stessi. I corsi di formazione sono anch’essi molto importanti: presso il nostro museo ne vengono organizzati parecchi e, quando veniamo chiamati, andiamo anche fuori sede, per formare il personale di alcuni musei o di distretti museali. Comunque la cosa più importante rimane quella di aprire, spalancare le porte.

Network Museum – Come immagina il futuro dei musei relativamente all’argomento trattato ed in particolare quello del Museo Tattile Statale Omero?

Aldo Grassini  Il mio sogno è che un giorno il Museo Tattile Statale Omero non serva più: significherebbe la soluzione completa della questione legata alla mancata accessibilità e quindi verrebbe meno la necessità di tale istituzione museale. Arriveremo mai a questo? Sono abbastanza ottimista e tendo a vedere il bicchiere sempre mezzo pieno, anche se forse sarebbe pretendere un po’ troppo. Mi pare, però, che la situazione oggi sia favorevole. Accennavo prima al fatto che quando abbiamo cominciato, nel 1993, eravamo veramente soli. Oggi, invece, mi pare che siamo in ottima compagnia. Proponiamo molte iniziative, riscuotiamo notevole attenzione, registriamo entusiasmo soprattutto tra i giovani operatori museali: credo, perciò, che la strada sia quella giusta. Se si bloccasse questo processo a favore dei disabili visivi, – aspetto che incide maggiormente su di una struttura museologica, – significherebbe rinunciare al principio di un museo per tutti e con esso il venir meno della vera integrazione sociale dei non vedenti. Dobbiamo ricordarci che l’integrazione sociale, di cui tutti parlano, è impossibile senza una vera integrazione culturale. Se noi poniamo un limite all’integrazione culturale di una categoria, come quella dei ciechi, come possiamo sostenerne a spada tratta la necessità dell’integrazione sociale? Sono questi semplici concetti, che inevitabilmente debbono portare a progredire nella fruizione del patrimonio culturale e nell’apertura alle esigenze di tutti, anche di chi non vede.

Daniela Bottegoni ed Aldo Grassini,
cofondatori del Museo Tattile Statale Omero.
(Fotografia: cortesia Museo Omero)

Coordinate di questa pagina, fonti, collegamenti ed approfondimenti.

Titolo: “Con gli occhi e con le mani”
Sezione: “Oltre l’idea di accessibilità”
Autore: Network Museum
Ospite: Aldo Grassini
Codice: INET1703011200MANa1
Ultimo aggiornamento: 01/03/2017
Pubblicazione in rete:
2° edizione, 01/03/2017
3° edizione, 28/11/2018

Fonte contenuti e proprietà intellettuale: INFOGESTIONE s.a.s
Fonti immagini:  http://www.museoomero.it/
Fonte video e contenuti multimediali:  –

Collegamenti per approfondimenti inerenti al tema:
– Ulteriori notizie su Aldo Grassini: “Aldo Grassini – curriculum”
– Sito del Museo Tattile Statale Omero: http://www.museoomero.it/
– Collegamento per la reperibilità del testo di Aldo Grassini “Per un’estetica della tattilità. Ma esistono  

   davvero arti visive?: http://www.armando.it/
– Sito dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti: http://www.uiciechi.it/
– Raccomandazioni per l’accessibilità al patrimonio culturale: http://musei.beniculturali.it/


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