Cultura ed economia


di Gian Stefano Mandrino

Cultura ed economia

Una volta sentii proferire all’università la seguente definizione di economia: “Disciplina che studia la distribuzione delle risorse rare”: mi piacque e mi permetto di riproporvela in apertura di questo mio ragionamento, in occasione della presentazione ai nostri lettori della XVIII Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum.

Dall’assunto si evince che una “risorsa rara”, ovvero qualcosa di utile, ma non liberamente disponibile e fruibile, sia un “bene economico”. L’aria, per esempio, non è un bene economico: è utile, certo, e per il momento fruibile liberamente da tutti (finché ve ne sia e salvo che sia, compressa, “fritta”, arricchita con agenti tossici secondo i protocolli produttivi di qualche chiacchierata casa automobilistica o vittima di eventuali leggi di stabilità: una “TASSA ATMOSFERICA” potrebbe essere un colpaccio!). L’acqua potabile, per esempio, in troppi casi è un bene economico: anche se la molecola dell’acqua è uno dei composti più abbondanti della Terra.

Non sono un economista e non desidero trattare ed indugiare su etimologie, esegesi, sistematica e quant’altro: ciò che mi preme è il comportamento che si innesca in presenza di un “bene economico”, le cui caratteristiche di “utilità” e “rarità”, come abbiamo visto, debbano essere sancite da qualcuno, che apprezzi o che necessiti della risorsa in questione, ma non la reputi di facile reperibilità.

Esiste, però, in caso di presunta assenza dei requisiti di “utilità” e “rarità” uno stratagemma, abilmente utilizzato da madre natura, per cui un qualcosa possa diventare un bene economico: dimostrare a tutti che sia utile e raro. Chiedetelo ai nostri antenati colonizzatori quanto “rari” e “utili” siano apparsi specchi, whiskey e fucili alle popolazioni considerate “selvagge”: non ne conoscevano l’esistenza, ma subito, in un sistema privo di tali oggetti, con accurate operazioni dimostrative e di promozione, gli stessi sono divenuti “utili” e “rari” quanto basta, per essere considerati beni economici, frantumi di specchi compresi.

“Di cultura non si vive!”, sostengono i miei detrattori e forse hanno ragione. La cultura non si vende, o meglio non si vende abbastanza, perché non si è capaci di farlo, in quanto non si è trovato il modo di dimostrarne la sua “rarità” e, soprattutto, la sua “utilità”. La cultura mi aiuta a capire il senso di una vita, permettendomi, almeno, di ritrovarmi in una dimensione di dubbio eroico, sollevandomi così, come direbbe il compianto Lucio Dalla, dall’imbarazzo di essere ciccia da contare, o, molto più prosaicamente, mi permette di usare il cervello, quando altro nel mio corpo è non utile alla mia sopravvivenza. I farisei della domenica ribadirebbero: pane e cultura devono essere liberi e disponibili per tutti. Sono pienamente convinto di ciò: facciamo in modo che tutti possano comprarsi sia il pane che la cultura. Altri modelli, sia quelli del “tutto gratis” che quelli del “tutto è mercato” sappiamo tutti che sono falliti. Occorre riportare il “patto sociale” ad un “realismo delle risorse”, “ad un rispetto delle aspettative”, ad una “intelligenza della fruizione energetica” sostenibile dal pianeta e dai suoi abitanti: creare un equilibrio il cui fulcro sia l’intelligenza di contemplare ragioni, evidenze, necessità, tempi e sviluppi, onestamente ricordandosi che ipocrisia, disonestà, egoismo, sopraffazione ed avidità non sono frutto dei modelli sociali, ma i costituenti di questi.

“Quindi?”, direte voi. Quanto esposto è il motivo per cui in Infogestione ha dedicato tanto tempo a ricercare e perfezionare un sistema didattico, o meglio un’offerta didattica, finalizzata a “creare” manager e specialisti della promozione culturale. Sono i progetti didattici della “serie AFPC” (Alta Formazione in Promozione Culturale) con le relative specializzazioni in editoria, museologia, valorizzazione del territorio e del patrimonio.

Molti tra voi avranno dovuto contattare un museo, un ente o un “qualcosa”, che avesse a che fare con la cultura: sì lo sappiamo è difficile farsi rispondere al primo tentativo: chiedetelo alla nostra redazione! I motivi di tale difficoltà possono essere i più vari: carenza di urbanità congenita, terrore da parte di alcuni addetti di cacciarsi nei guai, perché il mansionario di un certo posto di lavoro non contempla che qualcuno risponda ad un qualcun altro, perché sovente tutte le mansioni strategiche di certe entità, forse per uno strano fato, sono concentrate in un unico individuo, che sommando carica a carica, rende tutti i sistemi, che ospitano il suo operato o presunto tale, inefficienti. Vi è, altresì, un’altra ragione: la carenza, in buona parte del nostro sistema “culturale”, di management: ovvero di quella tecnica che rende un sistema efficiente, efficace, rendendo questi due aspetti salienti per definirsi “organizzato”, evidente. Aggiungiamo l’allergia del settore al profitto, aspetto tanto illogico quanto ipocrita, ed abbiamo, così, fornito ulteriori motivi sul perché “la cultura, in Italia, non si venda”.

Intendiamoci: non tutte le entità che gestiscono cultura sono così sprovvedute e non intendiamo spargere fango su tutti e tutto. Abbiamo, noi di Infogestione, molto da imparare e da tutti, ma notiamo diffusa l’incapacità tra gli operatori del settore alla gestione del “processo culturale”, promozione e vendita compresi (che turpiloquio da televendita sto utilizzando, ohibò!)

Indurre un’offerta, secondo un’etica concordata con la collettività, certa e sostenibile (non come certi “crowdfunding” o certi gestori telefonici), è il compito del management di un sistema (o, se non vi fa troppo rizzare peli e capelli, di un’impresa). L’incontro tra “domanda” ed “offerta” si chiama “mercato” ed i vantaggi di tale incontro sono molti e non solo economici.

Concepire e sbandierare che belle, interessanti e meritorie esperienze come la Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico siano “uniche”, (comprendendone, sia ben inteso, il contesto) può farci piacere ed inorgoglire, come connazionali e colleghi, ma la promozione massiccia di tali ambiti dovrebbe essere attività abituale degli operatori del nostro territorio. Senza cambiamento di cultura, la medesima, sbandierata da troppi, sovente senza la minima esperienza di management e di marketing, è tutta “aria fritta”, che troppi sanno vendere molto bene, pur essendo ciò un esercizio molto più azzardato e complicato che promuovere quella “tecnologia dell’indagine esistenziale” che chiamiamo cultura.


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Titolo: “Cultura ed economia”
Sezione: “La copertina”
Autore:  Gian Stefano Mandrino
Codice: INET1509301356MANA4
Ultimo aggiornamento: 09/09/2015
Pubblicazione in rete:
2° edizione, 30/09/2015
3° edizione, 28/11/2018

Fonte contenuti e proprietà intellettuale: INFOGESTIONE s.a.s
Fonte immagine: http://www.borsaturismoarcheologico.it
Fonte video e contenuti multimediali:  –

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